Isabel Allende, una delle narratrici più importanti e amate della narrativa contemporanea in lingua spagnola, ci ha proposto lo scorso anno questo romanzo: IL VENTO CONOSCE IL MIO NOME, edito da Feltrinelli , con la traduzione di Elena Liverani. Possiamo subito inserire questo suo recente romanzo tra le storie indimenticabili che la Allende ci ha consegnato. Leggendo, o meglio lasciandoci trascinare nel vortice emotivo suscitato dalle sue parole, ci troviamo a seguire i destini dei personaggi che via via entrano in scena, chiedendoci quando mai e in che modo i loro destini si intrecceranno. Perché da subito si capisce che è questo che accadrà, cioè che il lettore, prima o poi, si troverà confrontato con la rassicurante realtà che il mondo è spesso è un luogo perverso e crudele in cui vivere ma che altrettanto spesso, da qualche parte, qualcuno o qualcosa farà in modo che dei destini riescano a intrecciarsi per dare luogo a una speranza, per aprire una strada verso Azabahar, la magica stella-rifugio della piccola Anita.
Isabel Allende ci racconta di persone – di bambini, in particolare- che hanno dovuto abbandonare la loro casa, il loro paese, le loro origini; esseri in fuga da diversi tipi di violenza e che devono fare i conti con la paura, il senso di straniamento, con l’infinita serie di “perché” e con un senso di sradicamento che li accompagneranno per tutta la vita. È accaduto nel passato, sta accadendo e purtroppo accadrà ancora. Le vicende del piccolo Samuel - in fuga dalla furia nazista nella Vienna del 1938 - della piccola Leticia, che nel 1982 sopravvive al Massacro del Mozote nel Salvador e fugge con suo padre negli Stati Uniti, e da ultimo della piccola Anita, 7 anni, separata dalla madre Marisol sul confine con il Messico nel 2019 a causa di un’inumana politica di tolleranza zero nei confronti degli immigrati. Quante storie come quella di Anita e di Marisol, sono accadute e accadranno? Isabel Allende punta il dito sul fenomeno dell’immigrazione e ci fa riflettere. Se è vero che non si possono accogliere milioni di migranti e rifugiati, la soluzione non è costruire muri (“Dove c’è un muro c’è chiusura di cuore: servono ponti, non muri.” Come afferma Papa Francesco), e meno che mai separare le famiglie.
EmmeDi, 29 gennaio 2024